Progetto

COME NASCE LA PRODUZIONE

Due anni fa un gruppo di lavoratrici e lavoratori dello spettacolo decise di entrare ed occupare il Teatro Valle in dismissione dalla decennale gestione dell’ETI.
Fin dalle prime assemblee numerose e partecipate, nel confronto aperto con la città e i colleghi, si chiese che questo Teatro segnasse una forte discontinuità con il sistema teatrale vigente, ponendosi in stretta connessione con le esperienze europee e internazionali. La necessità di trovare un terreno fertile dove far rinascere la scena contemporanea, volta a creare un nuovo pubblico, a valorizzare nuovi talenti e competenze professionali emergenti, a parlare con coraggio – in ogni modo – del presente che viviamo. La drammaturgia e le scritture sceniche si sono rivelate da subito il terreno di quel confronto. Il bisogno di indagare la drammaturgia in tutte le sue plurali declinazioni è coinciso con il bisogno di formazione qualificata e costante nel tempo, dando vita ad esperienze laboratoriali e gruppi di lavoro che hanno animato la vita artistica del Teatro Valle in questi due anni, orientando la sua programmazione e i suoi principali progetti. Nella reciproca contaminazione con i temi del presente che ci interrogavano, animando le nostre lotte e i nostri impegni, emergeva il bisogno di ‘dire’ sulla scena, strutturando una vera e propria narrazione del nostro tempo. Una narrazione capace di coinvolgere e contagiare molti, che partisse da domande più che da certezze, che evitasse i luoghi comuni e i facili espedienti, che prendesse consapevolezza di ciò che ci ha preceduto e che ci è intorno, che fosse il risultato complesso e articolato di un percorso comune. Ogni drammaturgia è politica quando si rivolge ad una comunità in grado di accoglierla. Spesso il teatro si ritrova a parlare di sé o dei propri cliché. Si rivolge a se stesso e perde il contatto con il tessuto connettivo da cui scaturisce. Abbiamo cercato di evitare l’errore diffuso, consapevoli che la crescente perdita di interesse del pubblico nasce da questo corto circuito interno al teatro stesso. Un teatro attraversato 24 ore su 24 da cittadini e artisti è stata una scommessa difficile da accettare. Ma ha generato nei suoi 2 artisti permanenti e di passaggio una messa in discussione profonda. Si tratta di ‘aprire’ non solo la sala o il sipario, ma il proprio lavoro, interrogarsi sulle ragioni, verificare la capacità di incidere, di lasciare il segno, mettersi con onestà a nudo nel lavoro e nel confronto con gli altri. Siamo convinti che il teatro italiano abbia urgente bisogno di sentirsi ‘comune’. Oggi il teatro italiano fa a meno di tanti suoi teatri. Di quelli che chiude e di quelli che non vede. E fa a meno del Teatro Valle Occupato. In alcuni casi per pregiudizio, in altri per troppo giudizio. Vogliamo rivolgerci con questa produzione a tutto il sistema teatrale invitandolo a superare la palude. Noi non abbiamo pregiudizi di sorta e siamo per natura ‘imprudenti’ come recita un celebre nostro motto ripreso da R. Spregelburd. La nostra produzione non è canonica. Non può e non vuole esserlo. I canoni in corso hanno prodotto nella maggior parte sterilità nei meccanismi produttivi e creativi. Noi cerchiamo in primo luogo di riconnettere creazione e produzione e per questo scegliamo di partire con la produzione di un testo di Fausto Paravidino che nasce nell’ambito del laboratorio di drammaturgia CRISI. C’è sicuramente un problema di risorse, ma anche di volontà. E la volontà resta una risorsa. Dietro questa nostra produzione ci sono decine di artisti, maestranze e operatori e tutto un teatro fatto di centinaia di persone che ha voglia di sentirsi partecipe del suo percorso e dei suoi risultati. C’è un investimento comune di volontà che determina un valore inestimabile. Questa forza è contagiosa e crediamo che chiunque abbia a cuore l’arte, voglia favorirlo e prenderne parte. Sarà un processo vivo e aperto in cui sperimentare forme di redistribuzione di reddito e offrire formazione retribuita per giovani professionisti. Ci auguriamo che questo processo approdi in tutte quelle città che ospiteranno il suo lavoro; sarà un confronto dialettico sulle pratiche, sulle intenzioni e sulle prospettive; sarà un contributo che vuole rianimare il dibattito culturale oggi ridotto all’osso.