il Macello


LO SPETTACOLO

Due Clown si giocano ai dadi la tunica del Cristo. Quando il crocefisso muore, si squarcia il velo del tempio e sulla terra viene gran burrasca, i Clown terrorizzati fuggono cercando di coprirsi con la tunica che si stavano giocando. Cessa la pioggia, viene il sereno, due anziani coltivano la terra. È la civiltà agricola. Un figlio li saluta per andare a cercare fortuna, gli donano un pollo. Lui lo sacrificherà per il suo bene. Dal sangue di quel pollo nascerà il commercio, un’economia, una famiglia, del lavoro, una macelleria. Il macellaio ha un garzone, una moglie, una figlia malata, un figlio che è andato in America a studiare le regole dei soldi, una banca con la quale è indebitato. Arriva un nuovo mondo che cambia tutte le regole. La gente continua a mangiare la carne, il macellaio e il garzone continuano a lavorare come non mai, con la passione e l’onestà che sempre hanno messo nel loro lavoro, ma il loro lavoro e l’appetito della gente non bastano più a far soddisfatta la banca. la famiglia non ce la fa più. Il figlio torna dall’America. Conosce le leggi dei soldi, ha imparato la magia. Il padre, il macellaio, non vuole rinunciare al suo mondo per quello del figlio, non vuole ammettere il suo fallimento, non è pronto a diventare nonno, a cedere il passo ad una nuova generazione che parla una lingua che lui non capisce, la madre ha fiducia nel figlio ma non sa spiegare perché nella magia del figlio c’è qualcosa che non va. Il figlio è potente, una donna l’aiuta a non avere paura, il padre cede, si fa come dice lui, il figlio convince la banca, ristrutturano la macelleria, licenziano il dipendente. È l’inizio di un male che si abbatterà su tutta la famiglia, un male che non capiscono da dove venga, se dalle colpe del macellaio, da quelle del figlio, dalle storture della società, dalla collera di Dio, della natura o del Fato. Il figlio continua a produrre soldi dai soldi sperando che il suo talento economico basti a salvare lui e il mondo, il macellaio vuole che Dio gli spieghi il perché del male che l’ha colpito prima negli affari, poi negli affetti, poi nella carne senza che lui avesse mai avuto la sensazione di meritarselo, i clown cambiano lavoro ad ogni scena e più cambiano lavoro e più diventano pericolosi, la lingua dei soldi è violenta: nessuno è malvagio, ma la violenza aumenta. E intanto Dio non parla, non resuscita i morti, non punisce i malvagi e non risponde alla domanda che il macellaio continua a fargli: “Perché?”
NOTE DELL'AUTORE

“Il Macello” è un testo che nasce da alcune suggestioni, da alcune domande e dall’esperimento di una modalità per me nuova di scrivere il teatro. Mi interessava studiare il libro di Giobbe senza sapere dove questo mi avrebbe portato, mi interessava il confronto col sacro, col mistero, con Dio. Mi interessavano la crisi economica, gli incomprensibili meccanismi della finanza, apparentemente assurdi, talmente assurdi da costituire un’antiteologia. Mi hanno affascinato le lezioni di Andrea Baranes, mi ha affascinato la metafora di Marco Bersani che vede i mercati come deî pagani, che si turbano e chiedono sacrifici agli uomini. Mi interessa il rapporto tra il liberismo (la religione dell’egoismo) e la nostra cultura, dove la solidarietà sociale e l’amore per il prossimo non sono previsti come optional. Mi interessavano la carne e i mattoni come misura concreta di quello che il denaro può comprare. Un girone del sangue (animale), un girone di calce, un girone di sangue (questa volta umano). Ho studiato questi elementi al Teatro Valle, facendomi suggestionare da quel palcoscenico e da quella platea, aiutato nel mio studio dallo studio di molte persone. Quando studiavo al Royal Court andammo a vedere un bellissimo Amleto al Globe di Londra, il regista (nonché Amleto) ci fece visitare il palcoscenico, la lingua di proscenio che si allunga in mezzo alla platea… qualche buontempone gli chiese perché lì al Globe facessero sempre Shakespeare invece di mettere in scena testi contemporanei, forse alludendo polemicamente alla vocazione turistica del loro teatro, lui rispose che mettevano in scena Shakespeare e gli elisabettiani perché la loro scrittura si addiceva a quello spazio, che contemporanei ne leggevano ma questi scrivevano pensando ad altri spazi, ci invitò a scrivere per il globe, per un teatro che avesse quella natura. Ovviamente non lo feci ma da un anno lavoro con un gruppo di studio di attori e scrittori di teatro sul palcoscenico del Teatro Valle, col pubblico del Teatro Valle, per cercare di capire quello spazio cosa chiede, a quello spazio cosa possiamo dare, a quello spazio cosa possiamo chiedere. “Il Macello” è il mio primo tentativo di risposta a queste domande. È un lavoro pel quale sono andato a pescare nell’antico per cercare di rappresentare il contemporaneo. 
                                     
                                               Fausto Paravidino